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Portofino-Mohawk Deer

 
MohawkDeer-Caldaie
Caldaie
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Castello Prua
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Plancia
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Prua
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Salpancore
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ZonaPoppa
MohawkDeer-ZonaPrua_a43m
Cala ancore

ZonaPrua a 43m.
fotografie di Andrea Ghisotti. Vietata la riproduzione anche parziale senza autorizzazione scritta dell'autore.
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Mohawk Deer

 

Scheda tecnica

 

Tipo: piroscafo da carico (cisterna)

Nazionalità: canadese

Anno di costruzione: 1896

Cantiere: F.W. Wheeler & Co. di West Bay City

Compagnia di navigazione: Mohawk Nav. Co. Ltd. di Montreal (Canada)

Lunghezza: 137,46 metri

Larghezza: 17,17 metri

Stazza lorda: 4.423 tonnellate

Eliche: 1

Caldaie: 2

Data affondamento: 5 novembre 1967

Causa affondamento: rottura cavo traino e conseguente urto contro gli scogli

Carico trasportato: nessuno (era avviata alla demolizione)

Profondità minima: 10 metri

Profondità massima: 48 metri

 

 

La storia

 

Mohawk Deer significa cervo moicano , un bel nome con chiaro riferimento alla zona dei Grandi Laghi, nove la nostra nave aveva visto la luce. Varata a West Bay City, in Canada, nel 1896 e iscritta nei registri di Montreal, la Mohawk Deer era una cisterna di 4423 tonnellate di stazza, la prua alta e dritta come si usava ai tempi, lo scafo stretto, le caldaie alimentate a carbone. Le sovrastrutture avevano una disposizione insolita, con il ponte di comando molto avanzato e sala macchine e alloggi all'estrema poppa, mentre tutta la zona centrale del ponte era vuota, occupata dalle cisterne. Per strani giochi del destino, alla fine della sua carriera la nave era finita a Genova in attesa del traino finale verso la Spezia, ad opera del rimorchiatore jugoslavo Junak, venduta a un cantiere di demolizione.

La dinamica dell'affondamento

 

Nonostante le pessime previsioni meteorologiche, all'alba di domenica 5 novembre 1967 il comandante dello Junak decise di prendere il mare, con un duplice traino, la Mohawk Deer e la più piccola Makawell di 2600 tonnellate. Al largo del Promontorio di Portofino il libeccio infuriava e i continui strattoni al cavo di traino della nave canadese finirono per spezzarlo, lasciando il vecchio scafo in balia delle onde. Con la Makawell al traino era impossibile manovrare e tentare di riagganciare la nave, così il capitano dello Junak si collegò via radio al porto di Genova, chiedendo aiuto. Non essendoci vite umane in pericolo ed essendo per di più una grigia domenica novembrina, le operazioni di soccorso dovettero aspettare la conclusione delle lunghe trattative fra compagnia assicuratrice e soccorritori. Quando finalmente arrivarono due rimorchiatori da Genova, era ormai troppo tardi. Le onde del mare in burrasca avevano sospinto lo scafo vicino a riva, in corrispondenza del Ruffinale, noto anche come Cala degli Inglesi e chiamato Deriou dai Portofinesi. Le onde sollevarono lo scafo come un maglio gigantesco, lanciandolo contro le rocce a picco. Un boato sordo e terribile di lamiere tranciate e contorte e si vide la nave spezzarsi in due. La parte anteriore si inabissò velocemente, la prua diretta verso terra e l'albero di trinchetto che emergeva fra i cavalloni. Il terzo poppiero, quello con sala macchine e alloggi, continuò a venir gettato sugli scogli come un pupazzo di pezza, fino a quando non fu completamente smembrato e solo una scia di rottami galleggianti indicava il punto dell'affondamento. Tre giorni dopo il mare era nuovamente calmo e subito i subacquei dell'epoca si tuffarono sul relitto, riemergendo piuttosto delusi. Qualcuno arrivò in banchina a Portofino con le grosse luci di via, qualche cima e la poca strumentazione della plancia, ma molti si dovettero accontentare di qualche oblò o, in mancanza di meglio, dei rubinetti dei lavandini. La nave in effetti era già completamente spoglia, le cisterne vuote e, per fortuna, le caldaie alimentate a carbone e non a nafta, quindi un relitto ecologicamente perfetto.

L'immersione

Per essere visitata interamente, la Mohawk Deer richiede almeno 3 immersioni. Una prima, quella classica, è dedicata alla parte più integra della nave, ovvero alla prua e alla metà anteriore dello scafo. Una seconda per vedere l'enorme sconquasso della zona poppiera. Una terza, infine, riservata ai profondisti, per esplorare le due caldaie, rotolate lungo il declivio fino a una cinquantina di metri.

Immersione N.1 – La prua e la metà anteriore dello scafo

L'impatto più suggestivo con la prua lo si ha partendo da terra. Prima indistinta, poi sempre più nitida, appare la grande prua della nave, puntata verso terra e leggermente inclinata sulla dritta. E' una visione suggestiva, di grande impatto emotivo, che mette in luce la tipica forma della prua di una nave di fine secolo, assolutamente dritta e verticale. I due occhi di cubia sono vuoti, ma l'ancora destra giace sul fondo, dove è stata fatta precipitare da un “eroe degli abissi” che si è divertito a segare la grossa catena qualche anno fa. Da non perdere la vista del tagliamare, piegato come fosse un lamierino dall'impatto con la roccia. Grande falla sottoprua. Qui siamo a 23 metri. Torniamo sul castello di prua (minimo 17 metri) per esplorare i poderosi argani del salpancore. Qui c'è molto altro da vedere e da scoprire ma … lasciateci qualche segreto per chi viene a immergersi con noi sul relitto. Proseguendo nella discesa, sui 30 metri si esplorano i resti della plancia, ora capovolta e di facile accesso. In genere l'immersione finisce qui, ma per i profondisti si può proseguire sul lato destro della nave, dove il ripiegarsi del ponte ha creato una serie di “stive”, alternate a zone scoperte e quindi di facile esplorazione. Interessante la fauna sessile, ricca di madreporari, briozoi, gorgonie e perfino corallo. Lo scafo termina sui 42-43 metri, tranciato di netto, con le lamiere adorne di belle Paramuricee. Tra le lamiere vivono aragoste, gronghi, murene, una bella famiglia di corvine, qualche astice e il solito pesce di scoglio.

Immersione N.2 – La zona poppiera

Un'immersione divertente e non impegnativa, svolgendosi tra i 10 e i 20-25 metri. E' una testimonianza impressionante dell'incredibile forza del mare. Dello scafo non c'è più traccia, completamente fatto a pezzi dalle onde. L'immersione è una divertente caccia al tesoro, alla ricerca di particolari ancora riconoscibili, quali il grande timone, l'albero motore, le bielle, alcuni giunti, bitte e argani, resti degli alloggi e così via. Lascia sbalorditi la forma di alcune lamiere e putrelle di notevole spessore, che il mare ha piegato, contorto e annodato, quasi fosse pasta fresca in attesa di finire in pentola. Buona presenza di pesce tra le lamiere, soprattutto saraghi, corvine e piccole cernie.

Immersione N.3 – Le caldaie

Un'immersione riservata a chi possiede un brevetto tecnico Deep Air, dato che si sfiorano i 50 metri di profondità. Dopo una suggestiva esplorazione di alcune lamiere e particolari della nave poco conosciuti, si arriva alle due gigantesche caldaie che troneggiano sul fondo, avvolte di rosei Anthias (tra 44 e 48 m). Si possono esplorare le fornaci, dove i fuochisti gettavano le palate di carbone, vedere la vecchia chiodatura tipica di questo vetusto modello di caldaia, chiamato “a grandi volumi d'acqua”, scoprire alcune ascidie rare, una bella gorgonia bianca (Eunicella verrucosa) e poi cercare sul fondo i resti del carico di carbone. Un'immersione suggestiva, soprattutto quando l'acqua è limpida.

 

-ANDREA GHISOTTI    -IL DIVING DI PORTOFINO     -SUBACQUEA TECNICA

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